Si chiamava Scardino, ma tutti lo
conoscevano come l’uomo dei piccioni. Era diventato una delle attrattive dei
giardini pubblici. Arrivava di buon mattino, con un sacchetto di granaglie, e
vi rimaneva parecchie ore. L’esibizione avveniva quasi al centro dei giardini,
vicino al monumento.
Alto, piuttosto magro, coperto da un lungo
soprabito che aveva conosciuto tempi migliori, in testa un berretto di cotone
variopinto, nelle mani il mangime, allargava le braccia e rimaneva immobile; da
lontano sembrava uno spaventapasseri. I piccioni arrivavano subito a frotte. I
primi si posavano sulle mani e cominciavano a beccare, gli altri sulle braccia
o intorno per terra a becchettare quello che cadeva.
I primi passanti, mamme che accompagnavano
i bambini a scuola o persone dirette al lavoro, si limitavano a dargli
un’occhiata; ma più tardi, persone meno frettolose, pensionati, studenti in
vacanza, sfaccendati, facevano cerchio intorno al curioso personaggio. Allora
aveva inizio il repertorio, sempre lo stesso: Scardino chiamava i piccioni con
nomi fantasiosi, mormorava loro parole incomprensibili, dava il becchime ora
all’uno ora all’altro.
Tra i più vezzeggiati erano due bei
piccioni cui, per il colore del piumaggio, l’uno tutto bianco e l’altro nero,
egli aveva attribuito il nome di Bianchino e Nerino. Ma la sua preferita era
Reginetta, una splendida colomba dalle penne variegate, vispa e battagliera.
Ogni mattina, con volo rapido e sicuro, gli si posava sul capo a beccare i
chicchi che immancabilmente trovava in un incavo del berretto; poi gli
svolazzava sopra una spalla, sopraffacendo qualche intruso, e beccava i
granelli che l’uomo teneva tra le labbra, come se gli desse dei bacini.
La gente che attorniava Scardino guardava
divertita; qualcuno scattava qualche fotografia o girava qualche scena. Lui
posava con gli occhi sorridenti; scambiava qualche parola; porgeva dei chicchi
a qualche bambino perché provasse. Era fiero di quella notorietà; un giornale
cittadino gli aveva perfino dedicato un breve articolo con tanto di fotografia.
Tra i presenti abituali c’era un certo
Loto, col quale Scardino discorreva spesso dell’amabilità dei piccioni, delle
loro diverse razze, del caratteristico corteggiamento che il maschio fa alla
compagna durante il periodo degli amori.
Un mattino, che è che non è, Bianchino non
arrivò.
“Strano che ancora non si vede Bianchino”,
notò Loto.
“Strano, ma arriverà”, disse Scardino.
“A meno che…” soggiunse Loto.
“A meno che?” domandò ansioso Scardino.
“A meno che non sia andato presso la
fontana zampillante”, disse Loto.
E lo informò che, da qualche giorno,
vicino alla fontana, un uomo faceva gran richiamo di piccioni. Chissà che
Bianchino…
Scardino accusò il colpo, ma fece finta di
niente.
Il giorno successivo, però, non si vide
neanche Nerino. Possibile che anche lui lo tradisse? Loto si disse convinto del
tradimento. Scardino divenne tutto rosso e non poté nascondere il proprio
disappunto. E vedendolo sbuffare, Loto gli disse che non era il caso di
prendersela tanto, che certo i due piccioni, prima o poi, sarebbero ritornati.
L’indomani, Scardino arrivò sul posto,
come al solito, di buon mattino. Come al solito, depose pochi chicchi
nell’incavo del suo berretto; ne sparse per terra; ne tenne in mano. I piccioni
non tardarono ad arrivare; arrivò anche Loto, poi alcuni curiosi. Chi non
arrivò, invece, fu Reginetta. Bastò che Loto accennasse al nuovo abbandono, per
vedere Scardino andare su tutte le furie. Scrollandosi di dosso i piccioni
spaventati, lasciando tutti sbigottiti, partì come una freccia e, a lunghi
passi, si diresse verso la fontana zampillante, deciso a verificare di persona
se i suoi piccioni fossero davvero a beccare presso quel tale.
Loto lo seguì un po’ discosto; e, quando
giunsero nei pressi della fontana, si fermò dietro un albero. Lo vide farsi
largo tra un gruppo di curiosi, tra i colombi svolazzanti; fermarsi un momento
e guardare intorno; parlare con l’altro uomo dei piccioni. Non sentì né capì
quello che i due si dissero, ma su quello che seguì non ebbe incertezze: erano
cazzotti, cazzotti santissimi.
Rimase a guardare per un po’, poi si
avvicinò sornione al gruppo e chiese che cosa fosse successo.
“Questione di piccioni…” rispose con una
risatina uno dei presenti.
I due continuavano a darsele di santa ragione, mentre i piccioni, adeguandosi allo scompiglio,
saltellando e svolazzando, continuavano a beccare il mangime sparso.
Qualcuno finalmente intervenne a separare
i due, e il match ebbe termine. Mentre i contendenti si ricomponevano, Loto si
allontanò scuotendo il capo e dicendo: “Guarda un po’ s’è da cristiani pestarsi
così per una colomba…”
Arrivato vicino al cancello d’uscita,
scostò con un piede un cespuglio: Reginetta era ancora lì: il capino sotto
un’ala, un grumo di sangue sul collo, come l’aveva lasciata la sera prima.