ATENA CUORE DI ATENE
Cli

     Hermes, salutato il Sole nascente e reso grazie a Zeus padre e a Era veneranda, si aggirava per l’Acropoli. Già la sera precedente era rimasto colpito dalla grandiosità delle opere: i Proprilei, la statua colossale di Atena Promachos, l’altare di Atena e soprattutto il Partenone. E proprio davanti al Partenone ora si trovava e capiva perché la Dea negli ultimi tempi si faceva vedere sempre meno in Olimpo: con un tempio così, altro che reggia!

     Pericle 18  lo volle con tutte le sue forze, vincendo l’opposizione di gran parte degli Ateniesi, che trovavano rilevante la spesa. Per convincerli disse: “Allora consentite a me di costruirlo a mie spese; vuol dire che sul frontone, invece del nome di Atene, sarà scritto quello di Pericle”. E gli Ateniesi, anche per gelosia, cedettero. Ne affidò i lavori ai più grandi architetti del tempo, Callicrate e Ictino, e allo scultore Fidia.

     Mai un dio ebbe in Grecia un tempio più bello e grandioso. Nella luce chiara del mattino e con lo sfondo di un cielo d’un azzurro intenso, le colonne doriche di marmo bianco mandavano riflessi abbaglianti; mentre nelle parti superiori, tra capitelli, triglifi e metope, si diffondeva una vivace policromia. Il frontone orientale rappresentava la nascita di Atena, dal capo di Zeus, rivestita dalla  sua armatura. Negli angoli del frontone erano visibili a sinistra il carro del Sole, Elio, che sorge dalle onde, mentre nell’angolo a destra il cocchio della Luna, Selene, che vi si immerge. Il frontone occidentale raffigurava la contesa fra Atena e Poseidone per il dominio sull’Attica. Tra le due figure era posto l’olivo che la Dea vittoriosa offrì ad Atene. Tutt’intorno erano poste delle metope, che illustravano la vita cittadina e del suo eroe Teseo.

     Hermes s’introdusse nel vestibolo, poi nella Cella, dove al centro c’era la statua crisoelefantina, d’oro e d’avorio, di Atena. Opera dello scultore Fidia, la Dea, dall’aura ieratica e misteriosa, era in piedi, con indosso un lungo peplo, un’ampia egida di avorio le copriva il petto, sulla quale era una testa di medusa; sul capo portava un elmo d’oro decorato da una sfinge; con la mano destra teneva una Nìche, mentre la sinistra stringeva una lancia. Hermes non vide la Dea, ma ne avvertiva la presenza.

     Andato fuori dal tempio, il Dio si diresse verso l’uscita, ma si fermò ad ammirare l’altra statua della Dea, quella di Atena Promachos, che si avvia alla battaglia, elevata in onore della vittoria di Platea.19 Questa statua era ancora più grande dell’altra ed era visibile da lontano, perfino ai navigatori che si avvicinavano al porto del Pireo.20

     Fatti pochi passi, Hermes volse lo sguardo intorno: ai piedi dell’Acropoli, l’Agorà, la via delle Panatenèe che l’attraversava e gli edifici pubblici che la circondavano s’erano già animati; anche nelle altre strade principali che partivano dall’altare consacrato ai Dodici Dèi c’era già un certo movimento. Le Lunghe Mura, baluardo della città, grandioso progetto di Temistocle,21  completato poi da Pericle nell’intento di assicurare ad Atene un collegamento con il mare anche in caso di assedio, si protendevano verso il Pireo.

     Hermes era sul punto di lasciare la cittadella sacra e di avviarsi verso l’Agorà, nella speranza d’incontrare quel tal Socrate e cercare di capire se poteva davvero costituire un qualche pericolo per loro Dèi o se si trattava solo di un ciarlatano, quando sentì rumore di passi e delle voci preganti. Alla vista di alcuni sacerdoti vestiti di bianco, ognuno con una corona, capì che si trattava di un rito sacrificale; seguivano infatti degli assistenti che portavano una giovenca parata con nastri di lana e le corna dorate, e una lunga processione.

     L’altare di Atena era già decorato di fiori e ghirlande di foglie. Intorno ad esso si disposero tutti quelli che prendevano parte all’atto sacrificale: la portatrice dell’acqua lustrale, la portatrice del canestro dei chicchi d’orzo che coprivano il coltello destinato a sgozzare la vittima, l’addetto al sacrificio e i suoi assistenti, l’offerente.

     Imposto il sacro silenzio, uno dei sacerdoti, le braccia levate al cielo, pronunciò la formula sacra. Dopo la preghiera, si aspersero con acqua lustrale la vittima e gli assistenti e sull’altare fu acceso un fuoco su cui si gettarono grani d’orzo e un ciuffo di peli del capo della giovenca, mentre tutti supplicavano Atena di voler accettare l’offerta.

     A questo punto si fece avanti il βoutύπos, l’uccisore di buoi, che abbattè l’animale colpendolo sulla fronte con una scure; seguì lo sgozzamento. La gola della vacca fu rivolta verso l’alto, in modo che il sangue spruzzasse verso il cielo prima di bagnare l’altare e la terra. Le donne presenti, a questo punto, lanciarono il grido rituale: “Tηyein, tηysìa”.22

     Seguì lo scuoiamento e lo smembramento delle carni dalla vittima. I femori, coperti di grasso, furono posti sull’altare, innaffiati con una libagione e bruciati: il fumo che si levava verso il cielo era il nutrimento degli Dèi; ed Hermes lì presente ne ebbe la sua buona parte. Le viscere infilzate negli spiedoni furono arrostite e consumate sul posto, mentre il resto delle carni, tagliato a pezzi, venne diviso tra i partecipanti.

     Hermes rimase sull’Acropoli tutto il giorno a godersi quei profumi e la bellezza del luogo.

 

      

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Commenti più recenti

14.11 | 17:22

buonasera Beniamino, sono Rossana dell UNITRE, vorrei acquistare il suo libro in duplice copia, come mi devo regolare?Lei come sta? Scrive nuovi libri? SALUTI

13.12 | 17:28

bravo Beniamino, ammirevoli la costanza, la bravura, l'impegno nella stesura di queste opere, così complesse, con risultati veramente eccellenti