MALUMORE IN OLIMPO
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     “Per Zeus”, disse Zeus, lasciando cadere la coppa di biondo nettare con la quale stava brindando con la sua ultima ‘fiamma’, rapita lungo la riva del fiume Alfeo.

     Seduti sul più alto poggio d’Olimpo, se la godevano allegramente, quando giunse allarmato e ansante, il petaso in mano, Hermes.

     “Sommo padre, mi duole interromperti l’amplesso, ma ho una certa allarmante notizia colta durante l’esercizio di una mia funzione. In Atene circolano alcune voci: c’è un certo Socrate, che fa indagini sulle cose celesti e su tutte le cose che stanno sotto terra”.

     Fu a questo punto che a Zeus cadde di mano la coppa; ed egli, alzatosi, allontanò la bella amante mortale.

     Hermes, ripreso fiato, continuò: “Insomma questo Socrate non crede all’esistenza degli dèi; capisci, non ci crede! E siccome è un uomo sapiente e ha un certo seguito, potrebbe diventare pericoloso. Tocca a te, dio padre, dio del fulmine, decidere il daffare”.

     “Lascia stare il fulmine”, lo rimbrottò il Dio, cogliendo l’insinuazione e carezzandosi la barba. Rimase un po’ pensieroso; poi spedì Hermes a convocare tutti gli dèi nell’ampia sala, raccomandandogli acqua in bocca con Era su quello che aveva visto, mentre lui riaccompagnava precipitosamente l’amante sulla terra.

     Giunsero gli dèi da ogni parte nella sterminata sala, interrogandosi sull’improvvisa consulta, e presero posto nei dorati seggi. Quando Zeus arrivò, tutti si levarono e gli andarono incontro con espressione di trepida attesa; tutti, meno Era, che rimase al proprio posto, accigliata. E non appena Zeus s’assise sul trono, e tutti gli dèi si ricomposero, Era sollevandosi l’assalì minacciosa:

     “Se t’aggrada, o ingannatore, per prima parlo io. Dei tuoi fedifraghi amori, trasformato in oro, in cigno, in toro, e chissà in cos’altro, tutto il mondo ciancia, ma ora hai superato ogni ardire: portarmela fin qui nel palazzo!...”

     Tutti gli dèi la guardavano stupiti, non si moveva ciglio.

     “Ero con Hermes, sospettosissima e gelosa Era”, tentò di placarla irritato lo sposo, e intanto guardò bieco quel dio. Ma tale sguardo non sfuggì alla Dea, che continuò adirata: “Io la vidi, la vidi io stessa, fare cincìn con te, abbracciati sull’alto poggio; ma sempre ti è caro ordirmi inganni. Se avessi saputo… E rivolta alle altre dee:

     “Ancor giovinetta e inesperta, un giorno d’inverno, filavo tranquillamente una conocchia di bianca lana, quando un cuculo, entrato d’improvviso nella mia camera, mi si posò sulla spalla. Era intirizzito e umido di fiocchi di neve. Impietosita, lo scaldai in un lembo del mio velo. Ma ad un tratto il cuculo si trasformò in un Dio radioso e mormorò: ‘Vuoi tu diventare la Regina degli Dèi? Io sono Zeus, e t’offro il mio amore e il mio trono’. Che cosa avreste risposto?”

     “Che bello, veneranda Era”, sospirò Atena, “non ce l’avevi mai raccontato; comunque, a parte i ‘grattacapi’ e le baruffe, sei pur sempre la sposa del re dell’Olimpo”.

     “Or siedi e tacete”, tuonò Zeus, “ben altri pensieri mi turbano la mente”. E parlò il sommo padre, per la prima volta, da tempo, non più sereno, della notizia riferitagli da Hermes, di quel tale Socrate che, se davvero avesse un gran seguito, potrebbe agitare i loro sonni. Domandò agli dèi se avessero avvertito qualche avvisaglia nei loro santuari. Solo Demetra, la dea della fertilità della terra, disse di aver notato nel suo tempio di Eleusi una certa diminuzione dei sacrifici e delle offerte, ma forse ciò era dovuto alla scarsità dell’annata.

     “A te è inutile chiedere”, disse Zeus, rivolto alla casta Artemide: “te ne vai sempre per i boschi…”

     “A me basta l’acqua fresca e l’aria pura…”, rispose la diva, come dire: anche se dovessero aver fine i sacrifici e le offerte dei mortali, io me la caverò.

     “Già”, la guardò bieco il padre: “e sia, ma non dimenticare che seguirai le sorti della grande famiglia”.

     Si riflettè e si discusse, facendo proposte; poi all’unanimità fu deciso di mandare ancora Hermes in giro per Atene, ad approfondire la situazione. Hermes dapprima si mostrò contrariato, con tutto il daffare che già aveva: e recare i messaggi; e proteggere gli animali, le strade e le palestre; e sorvegliare il commercio; e tenere d’occhio i viaggiatori; e accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba; e proteggere i ladri… “Oh, i ladri!... sapeste il daffare che mi danno, e come in questi ultimi tempi si sono moltiplicati. E ora mi tocca fare anche l’investigatore!” Ma poi bastò un’occhiata di Zeus per fargli ricordare ch’era dura contraddire il sommo padre, e s’apprestò a partire.

     Infine, Zeus concluse rassicurando tutti: ben altre battaglie aveva vinto e nessuno era mai riuscito a spodestarlo.

     Ma, forse per la prima volta da quando i Numi si riunivano, non comparvero le Muse per allietarli con la danza e il canto, non suonò la cetra di Apollo, e le coppe rimasero mezze vuote.

     E più d’un dio s’attardò quella notte a scrutare il cielo tempestato di stelle.

 

 

 

 

 

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Commenti più recenti

14.11 | 17:22

buonasera Beniamino, sono Rossana dell UNITRE, vorrei acquistare il suo libro in duplice copia, come mi devo regolare?Lei come sta? Scrive nuovi libri? SALUTI

13.12 | 17:28

bravo Beniamino, ammirevoli la costanza, la bravura, l'impegno nella stesura di queste opere, così complesse, con risultati veramente eccellenti