LA SPEDIZIONE IN SICILIA
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Dalla partenza alla fine

 

     Un giorno di metà estate, allo spuntar dell’alba, una folla di cittadini e stranieri d’Atene cominciò a discendere verso il Pireo: alcuni accompagnavano i propri figli o parenti, altri gli amici; “ (…) e andavano sperando e lamentandosi al tempo stesso, sperando nella conquista e nel guadagno, ma con l’angoscia di non rivederli, se consideravano a quanto grande distanza dalla patria andavano”.134 E i responsi dei sacerdoti, degli oracoli e degli indovini, consultati per conoscere il volere degli Dèi, non erano stati tutti favorevoli alla spedizione; anche Socrate era stato ammonito dal suo δαίμων.

     Le centotrentaquattro triremi, in parte attiche e in parte degli alleati, per il trasporto di cinquemilacento opliti, settecento truppe leggere, quattrocentottanta arcieri e settecento frombolieri; e una gran quantità di grano e le attrezzature; più una nave carica di cavalli e cavalieri; erano pronte per salpare.

     Intanto si era radunata  una gran folla: alcuni per dare l’ultimo saluto, altri per godersi lo splendido spettacolo, come se fosse una parata di festa.

     A spegnere il frastuono  e il vociare, “(…) col suono della tromba fu ordinato il silenzio; e, furono dette le preghiere di rito prima della partenza, non per ciascuna nave, ma tutti insieme ad opera di un araldo. Mescolarono il vino nei crateri lungo tutto l’esercito e con calici d’oro e d’argento libarono,135 i marinai e i capitani. Si unì alla preghiera anche il resto della folla che stava a terra, quella dei cittadini e di chiunque fosse favorevole all’impresa. Intonarono il peana136 e compiute le libagioni, salparono”.137

     Mentre le navi s’allontanavano, c’era lo scambio degli ultimi saluti. Alcibiade impartiva ordini; Nicia guardava verso la Città.

     Uscite inizialmente in colonna, le navi, preso il largo, corsero a gara fino a Egina. E si affrettarono a giungere a Corcira, dove si era radunato anche il resto dell’esercito alleato.

     Intanto, chissà come, la notizia della spedizione degli Ateniesi giunse ai Siracusani; e, tra certezza, dubbio e incredulità, si preparavano ad accoglierli.

     Convocata un’assemblea, il generale Ermocrate di Ermone 138 prese per primo la parola:

 

     “Incredibili cose forse vi sembreranno quelle che sto per dirvi, come è già toccato ad altri, sulla concreta esistenza della spedizione ateniese, e so che chi annuncia un evento che non pare credibile, oltre a non convincere, fa la figura dello sciocco. Pure, quando la città corre pericolo, non mi tratterrò di parlare, convinto di essere a conoscenza di notizie più certe degli altri. Gli Ateniesi con un immenso esercito di terra e di mare si son messi contro di noi (questo è il fatto che vi stupisce), formalmente per onorare l’alleanza coi Segestani e il ristabilimento in patria dei Leontini, ma in realtà per desiderio di conquistare tutta la Sicilia e in particolare la nostra città, convinti, se la occuperanno, di conquistare tutto il resto. Badate, dunque, che saranno qui tra poco; disponete al meglio i mezzi che avete, per respingerli più energicamente possibile, e cercate di non farvi sorprendere disarmati per il vostro disprezzo e di non trascurare l’interesse generale per la vostra incredulità.139

 

     “Con coraggio, dunque, provvediamo alla difesa della città. E inviando messaggi ai Siculi, con gli alleati rinnoviamo più saldi legami d’intesa, con gli altri cerchiamo di stringere amicizia; e mandiamo ambasciatori nel resto della Sicilia, ammonendo che comune è il pericolo; e nell’Italia per farcela amica o perché almeno non accolgano gli Ateniesi. A mio parere è meglio mandare un appello anche ai Cartaginesi”.140

 

     Terminato il discorso di Ermocrate, i pareri dei Siracusani presenti erano discordi: alcuni sostenevano che gli Ateniesi non sarebbero affatto venuti, altri deridevano l’ipotesi, soltanto pochi prestavano fede alle sue parole.

     Parlò, poi, il retore e politico Atenagora,141 capitano del partito popolare, negando l’imminente invasione ateniese e contrario ai preparativi di guerra:

 

     “Quanto agli Ateniesi, chi non desidera che piglino sciocche decisioni e diventino nostri prigionieri col venire qua, o è un vigliacco o nutre malanimo verso la propria città. Quanto a quelli, poi, che vanno diffondendo simili notizie, con il proposito di provocare in voi uno stato di allarme, non ammiro l’audacia, ma la stoltezza, se credono di non venire smascherati. Poiché quelli che hanno da temere qualcosa preferiscono gettare nello sgomento la città per occultare la propria paura per mezzo del pubblico spavento. (…) E’ inconcepibile, infatti, che (gli Ateniesi) abbandonando i nemici Peloponnesi con un conflitto non ancora risolto, si dispongano spontaneamente a venire incontro a una guerra non minore, poiché io credo che saranno ben contenti che noi, che siamo città così numerose e così potenti, non andiamo contro di loro.142

 

     “E se, come si dice, verranno, ritengo che la Sicilia sarà, più del Peloponneso, capace a portare la guerra fino in fondo, in quanto in ogni campo strategico è meglio attrezzata. La sola nostra città è molto più forte di quell’esercito che, a quanto si dice, è prossimo ad assalirla. (…) E si troveranno in una Sicilia tutta nemica (tutta quanta sarà nostra alleata), e confinati in un campo eretto con il materiale di bordo, non potranno allontanarsi un gran tratto dalle loro tende, impediti dalla nostra cavalleria. Insomma, io credo che neppure potranno prendere terra, di tanto a mio parere le nostre forze sono superiori”.143

 

     Gli Ateniesi e gli alleati radunati a Corcira erano circa trentamila. Gli strateghi divisero l’esercito in tre parti e ne assegnarono a sorte una a ciascuno; poi spedirono in Italia e in Sicilia tre navi per vedere quali città li avrebbero accolti. A questo punto la flotta salpò. Le navi costeggiarono l’Italia, ma non ebbero una buona accoglienza; soltanto Reggio permise loro di attraccare e di accamparsi, ma facendo presente che sarebbe stata neutrale.

     Intanto giungono a Reggio le tre navi inviate avanti e riferiscono  che il denaro promesso da Segesta non c’era, erano stati ingannati. Gli strateghi furono molto contrariati, e si consultarono come comportarsi. Nicia pensava di navigare con tutta la flotta fino a Selinunte, dove erano stati mandati, riconciliare i Seluntini e i Segestani, dimostrare la potenza di Atene senza esporla al pericolo e ritornare indietro; Alcibiade, invece, diceva che non si doveva vergognosamente ritornare indietro senza aver fatto nulla, che bisognava farsi amiche alcune città, spingere alla rivolta altre contro Siracusa e poi attaccare; Lamaco, infine, era del parere che bisognava assalire di sorpresa Siracusa e farla capitolare.

     Siccome bisognava prendere una decisione, Lamaco appoggiò l’opinione di Alcibiade, il quale cercò delle amicizie tra le città, ma sia i Messeni che i Catanesi rifiutarono gli aiuti. Questi ultimi, però, aggiunsero che, se volevano, gli strateghi potevano parlare in assemblea. In tale occasione, mentre Alcibiade parlava, con un espediente, i soldati ateniesi invasero la piazza. I Catanesi che parteggiavano per Siracusa, all’arrivo dell’esercito, si dileguarono, gli altri invitarono anche il resto dei soldati a venire a Reggio; così l’intero esercito si accampò a Catania.

     Vi giunse intanto la nave Salamina venuta da Atene per prelevare Alcibiade ed altri, accusati di aver mutilato le Erme, ed essere portati in Città per il processo. Alcibiade, con la sua nave, e gli altri accusati, preceduti dalla Salamina, lasciarono la Sicilia; ma giunti a Turi, non seguirono più la nave di Stato. Alcibiade, per sfuggire al processo, temendo si trattasse di una macchinazione dei suoi avversari politici, fece perdere le sue tracce; e, imbarcatosi su un battello si consegnò a Sparta, dove fu accolto con tutti gli onori. Fu il suo primo tradimento. Atene lo condannò a morte in contumacia.

     Gli strateghi siracusani avevano intenzione di organizzare un’offensiva su Catania contro l’accampamento ateniese; ma gli strateghi ateniesi, con uno stratagemma, riuscirono a sbarcare nel Porto Grande di Siracusa, nei pressi del santuario di Zeus Olimpio, senza esporsi agli attacchi della terribile cavalleria siracusana; scelsero il posto adatto e vi piantarono il campo. Seguì uno scontro, in cui i Siracusani ebbero la peggio.

     All’inizio dell’inverno, sia gli Ateniesi che i Siracusani si prepararono a darsi battaglia con l’arrivo della primavera. Gli Ateniesi inviarono una trireme ad Atene per chiedere denaro e cavalli; da dove, in risposta, giunsero duecentocinquanta cavalieri e trecento talenti d’argento. Anche i Siracusani mandarono ambasciatori a Corinto e Sparta con la richiesta di aiuti.

     Gli Ateniesi cominciarono la costruzione di un muro, che doveva circondare Siracusa, e strinsero la città sia dalla terra sia dal mare; vinsero alcune battaglie ed eressero dei trofei. Nicia era a volte esitante ma, benché soffrisse di nefrite, quando si muoveva era rapido ed efficace. Sembrava che Siracusa fosse prossima a capitolare e già molti accorrevano al loro fianco ritenendoli prossimi vincitori.

     Ma a quel punto sembrò che gli Dèi avessero cambiato volere: Lamaco, rimasto isolato in uno scontro, fu sfidato in duello da Callicrate, generale della Cavalleria di Siracusa, e cadde ucciso insieme allo sfidante; la malattia di Nicia si aggravò; e, soprattutto, mentre i Siracusani avevano convocato un’assemblea per discutere e porre fine alla guerra, arriva Congilo, uno degli strateghi corinti, e li informa ch’era in arrivo Gilippo 144 con altre navi, mandato dagli Spartani dietro suggerimento di Alcibiade.

     Intanto, ad affiancare Nicia, giunse da Atene in Sicilia, Demostene di Alcistene,145  inviato con sessantacinque navi e milleduecento opliti.

     I Siracusani e i rinforzi, guidati da Gilippo riuscirono a spezzare l’assedio e infliggere agli Ateniesi gravi perdite. Perse le speranze di vittoria, gli Ateniesi decidono di ritirarsi, ma la notte stabilita per la partenza si verificò un’eclisse di luna, segno di cattivo auspicio per il superstizioso Nicia e causa di panico per le sue truppe. La partenza fu rimandata. Fu l’errore finale. Gilippo e i suoi imbottigliarono la flotta ateniese nel porto e la distrussero. Nicia tentò la ritirata per via di terra, ma la cavalleria siracusana inseguì l’esercito e lo sterminò.

 

     “I Siracusani e gli alleati, dopo aver raccolto il bottino e riunito il maggior numero possibile di prigionieri, tornarono in città. Tutti gli Ateniesi e gli alleati presi prigionieri furono gettati nelle latomie,146 ritenute il carcere più sicuro per la sorvegliarli. Nicia e Demostene, invece, furono uccisi contro il volere di Gilippo. Poiché Gilippo pensava di suggellare splendidamente la sua vittoria se avesse portato a Sparta, con le altre spoglie, gli Strateghi della parte nemica. (…) Nicia, dunque, così morì, il più incolpevole tra i Greci del mio tempo, e il meno meritevole di giungere a questa fine infelice, per l’osservanza della virtù e nell’esemplare rispetto delle tradizioni”.147

 

     Quelli delle cave di pietra nei primi tempi furono trattati con durezza dai Siracusani: esposti al caldo d’estate e al freddo d’inverno, tormentati dalla fame e dalla sete, ricevendo ciascuno una ciotola d’acqua e due di grano. Molti si ammalarono e i cadaveri s’ammucchiavano l’uno sull’altro. Stettero così per circa settanta giorni, poi furono venduti come schiavi. Pochi, di tanti che erano, tornarono in patria.

     Atena era stata più volte tentata d’intervenire a favore degli Ateniesi, ma temeva l’ira di Zeus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Commenti più recenti

14.11 | 17:22

buonasera Beniamino, sono Rossana dell UNITRE, vorrei acquistare il suo libro in duplice copia, come mi devo regolare?Lei come sta? Scrive nuovi libri? SALUTI

13.12 | 17:28

bravo Beniamino, ammirevoli la costanza, la bravura, l'impegno nella stesura di queste opere, così complesse, con risultati veramente eccellenti