TUTTI A TEATRO
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     Hermes si svegliò di buon mattino, si girò sul pagliericcio e vide al suo fianco una bambola articolata: era l’unico giocattolo che Melissia, raggiunta l’adolescenza, non aveva offerto ad Atena; l’osservò e sorrise, poi si levò. Le due piante di rose agli angoli del terrazzo e le pianticelle sul muretto di cinta erano in fiore, si diffondeva un fragore di profumi: rose, croco, viole…

     Hermes stese lo sguardo verso la città: la collina del Licabetto era inondata di luce; le stele della necropoli, all’esterno delle mura, lungo la Via Sacra che conduceva al santuario di Eleusi già animata di gente, emanavano chiarore. Proprio percorrendo quella via, Hermes aveva sentito parlare di certi Misteri,66 di una religione segreta, e si era chiesto se non dovesse approfondire la notizia; ma seppe che si trattava dei riti relativi al rapimento della figlia di Demetra, Persefone, da parte di Ade e fatta sua sposa, allora pensò che Zeus certamente ne era già al corrente; anzi, ricordò che fu lo stesso Zeus a mandarlo nrll’Erebo67 a riprendere Persefone  e riportarla alla madre, quando Demetra scatenò per un intero anno la siccità, impedendo a qualunque cosa di crescere sulla terra, col rischio di far scomparire il genere umano e che gli dèi rimanessero privi delle offerte.

     Hermes, data un’ultima occhiata intorno, si avviò verso la scala. Melissia stava preparando la colazione e il cibo da portare a teatro perché la rappresentazione dura tutto il giorno; suo padre stava finendo di medicarsi un piede ferito dalla caduta di un’hidria68 in laboratorio e che non voleva guarire; dopo la festa, se suo figlio l’accompagnava, sarebbe andato ad Epidauro, nel santuario di Asclepio ad invocare il suo aiuto: la sua guarigione valeva bene un galletto. Gli schiavi erano andati al mercato. Quando lo sentirono scendere, i due gli andarono incontro; dopo i saluti si sedettero nell’atrio. Teofilo accolse lo straniero ospitalmente; Hermes ripeté la storia del naufragio che aveva raccontato a Melissia. Rimasero male quando appresero che non si sarebbe fermato a far colazione e andare al teatro perché, disse, aveva un appuntamento al Pireo per un possibile imbarco, ma che sarebbe tornato.

     Teofilo era anche rammaricato di non poter andare lui a teatro: oltre ad essere un artista di rilievo sia come ceramista sia come pittore, era un grande appassionato del dramma. Allievo di Hermonax, conosciuto come Teofilo del Ceramico, era specializzato nella tecnica delle figure rosse, ma conosceva bene anche quella precedente a figure nere e a volte le usava insieme nello stesso vaso; la sua tematica variava dalla raffigurazione di divinità, di eroi, a scene mitologiche. La produzione era varia: pyxides,69 kantharoi, oinochoai, hydriai, crateri e anfore. Le ordinazioni le riceveva sia da parte dello Stato, per premi e oggetti votivi, sia da privati facoltosi, e guadagnava bene.

     Quanto al teatro, si era appassionato da quando, ancora ragazzo, suo padre l’aveva condotto per la prima volta ad una rappresentazione: si trattava di una trilogia70 di Eschilo di cui faceva parte “I Persiani”  relativa alla disfatta persiana a Salamina ad opera dei Greci, ed era rimasto molto impressionato. In seguito, aveva appreso dal padre molte cose, tanto da conoscere quasi tutto fin dalle origini. Seppe così che un certo Tespi,71 giunto ad Atene dall’Icaria,72 trasportava sul suo carro gli attrezzi di scena, i costumi e le maschere teatrali, necessari per le rappresentazioni. Poi, che le stesse, con l’istituzione delle Dionisie, cominciarono ad essere organizzate dallo Stato e finanziate dai cittadini più benestanti, ad alcuni dei quali l’arconte eponimo affidava la “coregia”.73 Continuò a partecipare alle rappresentazioni e conobbe così tutti i drammaturghi; lui stesso aveva una volta fatto parte del Coro, e sapeva a memoria interi “episodi”74 delle tragedie. Ma il suo idolo era stato e rimase Eschilo. “Che poeta, che soldato!”, soleva dire quando ne parlava con i suoi amici nell’Agorà, e concludeva citando l’epigrafe incisa sulla sua tomba e composta dallo stesso poeta:

 

“Questa tomba in Gela frugifera racchiude

Le spoglie di Eschilo ateniese figlio di Euforione:

il suo valore inclito può dire la piana di Maratona

e il chiomato Medo, che lo ha provato”.

 

     Sì, era dispiaciuto di non poter andare a teatro, ma dispiaciuto anche che non vi andasse Aristide.

     Melissia si allontanò e poco dopo ritornò tenendo in mano una splendida coppa nel cui interno era dipinto Hermes che riporta Persefone alla madre; e, mostrandola ad Aristide: “Ecco il dio al quale dicevo che somigli”. Hermes guardò e assentì; anche Teofilo notò la somiglianza. Poi Melissia l’avvolse in una clàmide e porgendola ad Aristide disse: “Per quando ritorni, ti prepareremo altri doni”.

     Hermes ringraziò per l’ospitalità e, dopo aver augurato la protezione degli dèi per la famiglia di Teofilo, salutò e varcò la soglia. Svoltato l’angolo, riprese i suoi attributi; mise la coppa nel suo borsellino e, indossati i bei calzari d’oro alati, volò in Olimpo.

     Melissia, fatta colazione col padre, uscì; e, chiamata la sua amica, si avviarono verso il teatro di Dioniso.

     Nel primo giorno di festa, nell’Odeon di Pericle accanto al teatro, si era svolto il proagon. L’arconte eponimo Pitodoro, cui era affidata la direzione delle Dionisie, aveva presentato i poeti scelti fra i tanti che desideravano competere e che avevano “chiesto un coro”. Per la tragedia: Sofocle, Euripide ed Euforione, figlio di Eschilo; ciascuno dei quali, come da regolamento, aveva presentato una trilogia e un dramma satiresco. I poeti con i loro coreghi, attori, musicisti e componenti del coro, in magnifiche vesti e inghirlandati, si erano presentati al pubblico; e, a turno, saliti sopra una pedana, ognuno aveva annunciato il titolo della propria opera e una breve trama; così tutti andando a teatro conoscevano i personaggi anche se si presentavano mascherati e sapevano di che si trattava.

     Ma il lavoro era cominciato molti mesi prima: scelte le opere, dopo un’attenta selezione da parte di una giuria nominata dallo Stato, l’arconte aveva designato con estrazione dei coreghi, uno per ogni drammaturgo autorizzato a partecipare al concorso, cioè, dei cittadini facoltosi, che dovevano provvedere alle spese e all’organizzazione della messa in scena; alcuni, aspirando alla popolarità, si offrivano volontariamente; inoltre aveva designato gli attori principali-

     I poeti, oltre a scrivere il testo, avevano anche composto la musica per i canti, progettato le danze, e istruito il coro.

     Per evitare favoritismi, erano stati stabiliti con estrazione i coreghi, l’ordine di rappresentazione delle opere e, con un sistema più elaborato, la commissione dei giudici con la partecipazione di una persona per ciascuna delle dieci tribù di cui si componeva la comunità.

     Finalmente ora era tutto pronto, ed era giunto il momento di mostrare il risultato di tanti preparativi e prove.

     Quando Melissia e la sua amica, dopo aver pagato i due oboli, entrarono in teatro la maggior parte dei circa ventimila sedili disposti in lunghe fila a semicerchio e addossati al pendio di una collina erano già occupati; molti spettatori erano giunti con una buona scorta di fichi e pomodori. Gli addetti alla sorveglianza muniti di una verga si aggiravano nella càvea assegnando i posti e badando all’ordine. Le due ragazze salirono una delle scale che traversavano i vari settori e, percorso un corridoio fra due file, trovati due posti si sedettero.

     Ogni cittadino ateniese aveva diritto di assistere alle rappresentazioni teatrali annuali e, se troppo povero per pagare l’ingresso, provvedeva lo Stato perché il teatro non era solo un divertimento, ma anche un rituale religioso e un evento culturale, politico e agonistico.

     Si sentiva un chiacchiericcio, qualche richiamo e litigio. L’eccitazione e l’aspettativa erano grandissime.

     I posti di prima fila, col nome e l’incarico scritti sulla spalliera, erano occupati dai sacerdoti delle varie divinità e da coloro che usufruivano del privilegio della proedria:75 magistrati, condottieri militari e particolari benefattori della città; al centro, in un seggio riccamente decorato, il sacerdote di Dioniso. Lo stesso sacerdote, la sera prima dopo la processione, aveva provveduto alla purificazione dell’ara al centro dell’orchestra spargendo il sangue di un porcellino, poi gli Efebi vi avevano posto la statua di Dioniso, da dove avrebbe presidiato fino alla fine della festa.

     Il teatro, in quei giorni, era considerato come un tempio di Dioniso, e possedeva tutta la sacralità di quel luogo. Le persone che prendevano parte alle varie gare erano considerate come ministri del Dio e anch’esse sacre; un oltraggio nei loro confronti era considerato un sacrilegio punibile con la massima severità; ma fischi, pernacchie, e lancio di ortaggi a volontà, volavano anche sassi. Gli interpreti di personaggi simpatici venivano applauditi, quelli di antipatici o cattivi potevano rischiare la pelle.

     All’alba, nel recinto del teatro, il sacerdote di Dioniso assistito dagli addetti e alla presenza dei magistrati, degli arconti e dai partecipanti, aveva celebrato intorno all’altare i solenni sacrifici secondo il rito.

     Finalmente ora l’araldo fece squillare la tromba, si fece silenzio, dalla porta centrale della scena festosamente adornata entrò un coro ditirambico composto da cinquanta membri preparato ad eseguire un canto di poesia con musica e danza in onore di Dioniso. Si concorreva per tribù, cinque cori di ragazzi e cinque di uomini, questo era uno dei dieci. I coreuti, incoronati da ghirlande, si disposero in circolo nell’orchestra e, al suono di flauti e tamburi, al cenno del solista cominciarono la danza e il canto; l’agone ebbe inizio. Nel pomeriggio si svolsero le commedie.

     La giornata si concluse con la premiazione dei vincitori durante il ϰϖμος, un fastoso banchetto, che si protrasse fino a tarda notte tra scherzi e lazzi su tutto e tutti.

     Nei tre giorni seguenti si svolsero le rappresentazioni tragiche. Il primo giorno l’araldo, allo scopo di sottolineare la potenza di Atene agli occhi degli spettatori, cominciò ad elencare i tributi raccolti dagli alleati e, a mano a mano, gli stessi furono esposti intorno all’orchestra; poi proclamò le corone conferite ai benemeriti e presentò gli orfani di guerra, quelli che avevano raggiunto la maggiorità, dopo essere stati allevati a pubbliche spese, conferendo loro una panòplia.76 Al termine, suonò la tromba e l’agone ebbe inizio.

     Vinse e fu incoronato dall’arconte fra le polemiche il ‘figlio d’arte’ Euforione, anche il corego del gruppo fu incoronato; il secondo premio fu assegnato a Sofocle; terzo e ultimo premio toccò a Euripide, della cui trilogia faceva parte Medea.

     Seguirono celebrazioni in onore dei vincitori; poi poeta, corego e attore protagonista furono accompagnati a casa con un corteo trionfale.

     Non si sa se alla fine qualcuno chiese a Dioniso se la festa era stata di suo gradimento; comunque, furono giorni di sacro raccoglimento, di catarsi e gran divertimento.

     Ma già Dike77 batteva alla porta.

 

 

 

 

 

 

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Commenti più recenti

14.11 | 17:22

buonasera Beniamino, sono Rossana dell UNITRE, vorrei acquistare il suo libro in duplice copia, come mi devo regolare?Lei come sta? Scrive nuovi libri? SALUTI

13.12 | 17:28

bravo Beniamino, ammirevoli la costanza, la bravura, l'impegno nella stesura di queste opere, così complesse, con risultati veramente eccellenti