Teatrino delle marionette

     “Le hanno detto che nascondo qualcosa e che c’è del mistero. Niente di vero; lei stesso potrà verificare. E’ che ritengo non valga la pena di parlarne, e preferisco tenere lontano gli occhi indiscreti”. Così dicendo, Maker infilò la chiave nella toppa, e girò la prima delle sette mandate.

     “A dire il vero”, continuò Maker “ne avrei fatto volentieri a meno anche ora, ma con lei è impossibile”. Aprì, fece entrare il funzionario, entrò lui stesso, e richiuse la porta.

     Accanto alla parete di fronte, in un teatrino, facevano bella mostra alcune marionette abbigliate con grande sfarzo. Il funzionario diede un’occhiata.

     “Questa è la facciata, diciamo la vetrina”, disse Maker. “Non credo che possa interessarla”. E con un tono d’insofferenza aggiunse: “Non fanno che inventare e raccontarsi favole”.

     Aprì una porticina nascosta dalla tappezzeria e s’inoltrarono in un lungo e semibuio corridoio. Giunsero in una grande stanza.

     “Ecco il mio regno e il mio mistero”, disse Maker.

     Sembrava un laboratorio artigianale, di quelli che ormai non se ne vedono quasi più. Si sentiva un odore indefinibile. La stanza riceveva luce da alcune rettangolari finestrelle a tetto; in mezzo, un lungo tavolo ingombro d’arnesi; e dappertutto, appese, poggiate, distese, ammucchiate, marionette e marionette, per lo più malconce e in abbandono. Ma nonostante il cattivo stato, tutte conservavano alcuni tratti che facevano riconoscere  i personaggi che rappresentavano: cavalieri in armatura e gendarmi; fanti e mostri; burocrati; briganti; fate e diavoli. Tutte le varie componenti della società erano rappresentate. Qua e là, riflettori; qualche quinta; scenografie; velari lacerati; costumi. In un angolo, sopra un tavolinetto, due marionette: l’una, con espressione piangente; l’altra, ridente. Dalla finestrella di un palchetto, il capo penzolante, gli occhi socchiusi, una damina sembrava guatare e ammiccare. Chissà perché dava la sensazione che da un momento all’altro potesse drizzarsi e improvvisare.

     “E’ il frutto del lavoro di generazioni”, disse Maker allargando le braccia e guardando il funzionario, come per coglierne l’impressione. “Mio nonno fu un grande marionettista; mia madre ne menava vanto, me ne parlava spesso. La maggior parte della collezione è opera sua; di mio c’è una ben piccola cosa”.

     Il funzionario guardava intorno, fissava ora l’una ora l’altra marionetta.

     “Adesso sembrano soltanto panno e legno”, riprese Maker, “ma non si lasci ingannare. Magari hanno appena smesso di recitare avvertendo la sua presenza”.

     Premette un interruttore, e si accesero alcuni proiettori.

     “Che tipo di recita, dice? Recite d’ogni sorta. Come vede ci sono innumerevoli personaggi, e ognuno ha molte storie da raccontare e almeno un segreto da custodire. Qualcuno ha solo brandelli, ma al momento giusto anche quelli si ricompongono. Emergono nel silenzio da profondità imperscrutabili, prendono corpo, si animano, ognuno con le proprie caratteristiche, col proprio ruolo: sì, perché qui, almeno qui, vengono rispettati i ruoli e le regole: un brigante è un brigante; uno sbirro uno sbirro; e il diavolo è il diavolo; anche se ognuno ha i suoi bei fili. Si animano, dicevo, e improvvisano rappresentazioni imprevedibili. Ed io in mezzo a loro faccio e recito la mia parte. Adesso sembrano morte, ma le guardi, le guardi negli occhi…”

     Il funzionario guardò un po’ più dappresso incuriosito; chiese d’assistere ad una rappresentazione.

     “Purtroppo lei non può”, lo deluse Maker “non ora almeno. Io stesso non so dirle esattamente come avvenga. Ma una cosa è certa: quando avviene, basta un niente e l’incanto si spezza”.

     Il funzionario notò che le marionette più recenti rappresentavano personaggi famosi qualche decennio fa.

     “Sì, da tempo ho smesso di costruirne”, disse Maker “e i miei figli non hanno alcun interesse per queste cose, qui non hanno mai messo piede; il mio nipotino l’ho fatto entrare nella prima stanza, ma ha solo curiosità. D’altra parte, molti dei personaggi d’oggi non varrebbero il legno. Una volta che non ci sarò più, butteranno tutto via”.

     Il funzionario aveva cambiato espressione: sembrava deluso ed anche annoiato.

     “Mi rendo conto che tutto ciò per lei non ha alcuna importanza; anch’io a volte mi chiedo se tutto ciò abbia un senso. Magari pensa che dovrei spendere meglio il mio tempo, e forse ha ragione. D’altronde gliel’avevo subito detto che si trattava di cose di nessuna importanza”.

     Il funzionario rimase impassibile.

     “Ma voglio farle un’altra confidenza”, disse Maker, avvicinandosi al tavolinetto su cui stavano le due marionette dalle espressioni contrastanti. E indicando quella dall’espressione dolorosa, disse: “Questa non fa altro che piangere, tanto che l’ho chiamata Piangina. A versarle acqua nel contenitore, piangerebbe tutto il giorno. A volte la trovo insopportabile. Quest’altra, Ridella, invece ride, è più concreta, perfino un po’ inquietante. Quando qualche personaggio, troppo preso dalla propria parte, s’abbandona ad eccessi o dice castronerie, e la cosa non capita di rado, Ridella ride, ride, ride… Risate appropriate, disarmanti.

     “Ma a volte ride anche senza alcun motivo, senza motivo apparente almeno; capita sempre più spesso, e la cosa m’inquieta. Io cerco di capire, mi sforzo, ma non trovando spiegazioni finisco col chiedermi se non sia tutto una farsa. Eppure continuo a partecipare alla recita, con la speranza che sia proprio io a non capire, che magari Ridella si prenda gioco di me, e chissà che un giorno…”

     Il funzionario s’era intanto avvicinato ad una parete, tentava invano di aprire una porta.

     “E’ serrata”, disse Maker. “Di là c’è solo un ripostiglio con degli scarti. Se vuole entrare non posso impedirglielo, ma non glielo consiglio; io stesso da tempo non vi entro più”.

     Il funzionario fece un cenno, come per dire che aveva capito. Si mosse e imboccò il corridoio; Maker lo seguì.

     Giunti all’ingresso, Maker si affrettò ad aprire la porta; guardò sulla strada, poi la socchiuse, e rivolto al funzionario: “Posso chiederle un favore? Mi promette che non parlerà con nessuno di questa storia? Lei stesso si sarà reso conto che in fondo non c’è nulla di male, ma sa… non vorrei…”

     E si sentì, di là, una sonora risata.                    

 

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Commenti più recenti

14.11 | 17:22

buonasera Beniamino, sono Rossana dell UNITRE, vorrei acquistare il suo libro in duplice copia, come mi devo regolare?Lei come sta? Scrive nuovi libri? SALUTI

13.12 | 17:28

bravo Beniamino, ammirevoli la costanza, la bravura, l'impegno nella stesura di queste opere, così complesse, con risultati veramente eccellenti