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I
preparativi
A seguito della richiesta di aiuti di
Segesta e Leontini, città greche di Sicilia, che rifiutavano di sottostare
all’egemonia di Siracusa, Atene deliberò d’intervenire con una spedizione
militare. Il vero motivo era che gli Ateniesi desideravano dominare tutta la
Sicilia; compivano un’altra azione imperialistica.
Le forze messe in campo erano superiori a
quelle inviate con Lachete nella prima spedizione;117 i Segestani da parte loro promisero
che avrebbero fornito il denaro necessario alla guerra. Il comando della flotta
di centotrentaquattro triremi fu affidato a tre strateghi: Nicia, Alcibiade e
Lamaco.
Nicia, figlio di Nicerato, apparteneva a
una ricca famiglia ateniese; gran parte del suo patrimonio era impegnato in
schiavi, ch’egli affittava ai gestori delle miniere d’argento del Lario. Colto,
moderato, prudente, membro del partito aristocratico, divenne stratego con
l’appoggio dei ricchi e degli aristocratici, che lo contrapposero a Cleone. Era
molto devoto: non apriva bocca né per parlare né per mangiare se non avesse
prima fatto un sacrificio a qualche dio; e, non intraprendeva alcunché prima di
consultare qualche indovino, qualcuno lo teneva in casa; la sua superstizione
era nota a tutti. Per accattivarsi la benevolenza del popolo, era prodigo
nell’allestimento di spettacoli e nelle liturgie.118 Per tenere a bada questuanti,
malfattori e sicofanti, elargiva mance a tutti. Per non attirarsi l’invidia per
i suoi successi militari, tra cui la conquista dell’isola di Minoa e l’isola di
Citera, preferiva attribuirli alla buona sorte e all’intervento divino.
Alcibiade è il più controverso e
inquietante personaggio della storia greca; un personaggio, si direbbe, con più
anime. Figlio di Clinia, della famiglia degli Eupatridi,119 che secondo la tradizione risaliva
all’eroe Aiace, una delle più ricche e potenti di Atene, e di Dinomache, della
stirpe degli Alcmenodi,120alla morte del padre, quando aveva
circa quattro anni, divenne tutore il suo parente Pericle. Particolarmente
dotato, ebbe un’ottima istruzione: imparò l’arte della retorica dai sofisti121 amici di Pericle e frequentò a lungo
Socrate, verso il quale, contrariamente a quanti lo corteggiavano e
l’adulavano, nutriva rispetto e timore. Bello e affascinante, con una grande
prestanza fisica, ma dal carattere incostante, dotato di un’eccezionale
eloquenza, prevalevano in lui l’ambizione, la voglia di primeggiare e il
desiderio di gloria; era incline ai piaceri, alla sregolatezza e all’intrigo, a
volte violento.
La bravata del pugno dato a Ipponico,122 padre di Callia, un uomo ricco e di
nobile stirpe, per una scommessa fatta con gli amici, fece il giro della Città;
poi, pentito, si presentò alla sua casa, invitandolo a punirlo a colpi di
sferza. Ipponico non solo lo perdonò, ma gli diede in sposa la figlia Ipparete,
dalla quale ebbe due figli, ma con la quale, a causa delle sue frequentazioni
con etere, una vita maritale tormentata.
Alcibiade entrò giovanissimo in politica
nel partito democratico popolare, e si distinse subito tra gli altri capi, ma
dovette misurarsi con Nicia, meno giovane di lui e riconosciuto come ottimo
generale. Prese parte insieme a Socrate alle battaglie di Potidea e Delio, ed
entrambi si distinsero per valore. Nella prima battaglia, Alcibiade caduto
ferito fu salvato dal filosofo; mentre nella seconda, con gli Ateniesi in
rotta, fu Alcibiade a difendere Socrate.
“Se hai intenzione di occuparti della
Città in modo retto e bene”, lo ammaestrava Socrate in un dialogo, “devi
rendere partecipi i cittadini della virtù”.
E Alcibiade: “Come no?”
“Però”, continuava Socrate, “uno potrebbe rendere partecipi
altri di ciò che non ha?”
“E come?”
“Perciò, tu devi , innanzi tutto,
acquistare la virtù, e questo deve fare chiunque voglia governare e curarsi,
non solo di sé e di ciò che gli è peculiare, ma anche della Città e delle
funzioni pubbliche”.
“Dici il vero”.
“Non devi, allora, procurare a te stesso e
alla Città né la libertà, né il potere di fare ciò che ti piace, bensì
giustizia e temperanza”.123
Come capitano della spedizione di Sicilia
fu scelto Nicia, il quale era contrario a tale impresa ritenendola troppo
dispendiosa e piena d’incognite; e, nell’intento di dissuadere gli Ateniesi
della loro decisione, così li esortò:
“Questa assemblea è stata convocata per
dibattere sull’entità degli armamenti e le modalità per questa spedizione in
Sicilia; ma a mio parere è indispensabile riesaminare la questione, cioè se il
miglior partito è impegnare la nostra flotta in una guerra che non ci riguarda.
(…)124
(…) “Uno dovrà badare a non voler esporre
una Città che è già in alto mare e aspirare a un altro dominio prima di aver
consolidato quello che abbiamo. (…)125
(…) “E dovete rammentarvi che è da poco
che ci siamo risollevati da una grande pestilenza e da una guerra, così da
crescere nei nostri beni e nella nostra popolazione. (…) E se qualcuno,
contento di essere stato scelto a comandare (essendo purtroppo giovane), vi
esorta a partire badando al proprio tornaconto e per farsi bello per
l’allevamento dei suoi cavalli, non permettete a costui di trarre qualche
vantaggio nella carica a costo di un pericolo per la Città. (…)126
“E tu, o pritano,127 se ritieni tuo dovere aver cura
della Città e mostrarti buon cittadino, sottoponi alla discussione e ai voti
degli Ateniesi la mia proposta. (…)128
Queste furono, tra le altre, le parole di
Nicia. Ma tra gli Ateniesi saliti sul palco la maggior parte incoraggiarono a
fare la spedizione; tra questi il più accalorato Alcibiade, smanioso del
comando e speranzoso di conquistare la Sicilia, con conseguenti vantaggi in
denaro e in fama. Fattosi largo sul palco, rivoltosi agli Ateniesi così li
esortò:
“Spetta a me, Ateniesi, il comando, più
che a ogni altro (è necessario che cominci da questo punto, poiché Nicia mi ha
attaccato), e nello stesso tempo me ne considero degno. Quello per cui sono
malfamato, ai miei antenati e a me aggiungono prestigio, e alla patria porta
vantaggio. Abbagliai i Greci, grazie allo splendore della mia delegazione a
Olimpia: sette carri, infatti misi in gara, tanti quanti nessun cittadino
privato in passato, e conquistai il primo il secondo e il quarto posto,129 e con la magnificenza della cerimonia
per la vittoria si diffuse l’immagine di un’Atene trionfante. E quello sfarzo
con cui mi mostro in Città mediante coregie, se suscita l’invidia dei
cittadini, di fronte agli stranieri suggerisce una prova di forza. (…) Ho
spinto le più grandi città del Peloponneso a farsi guerra tra di loro senza
pericolo o spesa per voi, e ho condotto Sparta a porre se stessa in repentaglio
nella sola giornata di Mantinea,130 e se da questo fatto sono tornati vincitori, pure da allora non hanno
ripreso coraggio.131
“E fu questa mia giovinezza e la mia
pazzia, considerata innaturale fanatismo, a indurmi a trattare con discorsi
giusti con le potenze del Peloponneso e a persuaderle sul nuovo corso politico.
Non dovete temerla, ora, questa pazzia, ma mentre insieme alla mia giovinezza
sono al culmine delle mie forze e Nicia sembra favorito dalla fortuna,
approfittate del vantaggio che viene da entrambi. E non mutate avviso sulla
spedizione in Sicilia, come se fosse una grande potenza. (…) I nostri padri,
pur avendo contro questi stessi nemici che ora si va dicendo che trascuriamo
salpando, e avendo in più la minaccia dei Persiani, si conquistarono questo
impero ponendo la loro forza soltanto nella superiorità della loro flotta. E i
Peloponnesi mai più di ora hanno perso la speranza di vincerci; e, se sono
ancora fiduciosi d’invaderci, comunque anche partendo non potrebbero
danneggiarci con la flotta, perché ce ne resterebbe una pari alla loro.132
Gli Ateniesi, udito Alcibiade e i Segestani presenti, i quali ricordavano i
giuramenti dei trattati, furono vogliosi più di prima di fare questa
spedizione. E Nicia, accortosi che non avrebbe potuto distoglierli con gli
stessi argomenti, tentò dissuaderli elencando una smisurata mole di preparativi
necessari; ma quelli rimasero ugualmente desiderosi di partire. E se qualcuno
non era d’accordo, se ne stava in silenzio, temendo d’essere giudicato male
verso la Città, se avesse dato voto contrario.
A questo punto, gli Ateniesi decretarono
che gli stratego avessero pieni poteri; e, riguardo agli armamenti e al numero
dei soldati , decidessero come a loro sembrava meglio per Atene.
Ma la spedizione fu preceduta da un
nefasto presagio, che per Nicia fu un colpo: mentre fervevano i preparativi per
la partenza, una notte, furono per la maggior parte mutilate le Erme di pietra
collocate ai crocevia delle strade e nei luoghi sacri di Atene, raffiguranti la
testa e il fallo del dio Hermes.
Cominciò la caccia agli autori dell’atto
sacrilego; si parlò di una provocazione, di un complotto, addirittura di una
congiura per scatenare una guerra civile e abbattere la democrazia.
Alla fine fu accusato Alcibiade: era nota
la sua irriverenza verso gli dèi e le cose sacre; in più qualcuno riferì di
averlo visto a tarda sera, ubriaco, fare un gran baccano con i suoi amici
all’uscita di un simposio133 e di
aver parodiato i misteri di Eleusi. Alcibiade chiese di essere giudicato prima
di partire: “Se avesse fatto qualcosa, sarebbe stato condannato; se fosse stato
assolto, avrebbe ripreso il comando”.
Ma i preparativi erano stati completati, e
gli fu ordinato di salpare. E lo scandalo delle Erme rimase avvolto nel
mistero.
Solo Zeus e lo stesso Hermes conobbero la
verità.
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